mercoledì 7 maggio 2014

L'orso di malga Ben

La Voce Cattolica, 11 settembre 1890

S. Lorenzo, 9 settembre 1890
La comparsa d'un ospite importuno. - Nella mattina 8 corr. si sparse in tutte le ville di S. Lorenzo la triste nuova d'una vera ecatombe di pecore avvenuta nella malga di Ben, cagionata, giusta indagini praticate, dalla visita di quel brutto ceffo che si chiama orso.
Al momento non si sa precisare il numero dei morti e feriti, ma ritornati molti dal luogo della catastrofe col grave pondo sulle spalle dicono che una settantina sono di certo perite. Ma come mai tanta strage, si dirà, dal momento che quel coso ugnato non si mostrò mai tanto esigente, anzi anche questa volta si contentò di sbranarne alcune, e solo due o tre nasconderle bravamente fra i cespugli? E' da notare, che al primo del corr. mese si dovette smalgare a cagione della neve caduta agli ultimi d'agosto e che restava la sola Malga Ben caricata del solito bestiame. La quale ha due sezioni, una superiore e l'altra inferiore, divise da una rupe spaventosa; La parte superiore oltre i ripiani e valloncini concentrici ha un' estensione bellissima conformata a piano inclinato chiamato Prato di Ben, ove pascola il bestiame nei giorni più caldi d'estate, a Sud-Est della stupenda Cima Tosa.
Malga Ben attualmente
Caduta la neve in questo altipiano, il bestiame grosso dovette emigrare nella sezione inferiore ove trovasi pure il baraccone, caro rifugio per difendersi dal zeffiretto che san mandare, specie in tempi di burrasca, la Tosa e le sorelle torri merlate dello stupendo Gruppo di Brenta. Le pecore naturalmente potevano restare a posto, quantunque il loro alloggio si trovasse quasi 2000 metri sopra il livello del mare, perché trovano sempre da pascolare pei ridossi del monte tanto accidentato, e perché la neve fece presto a prendere commiato da quella località.
Restano però allora abbandonate a se, stando i pastori, come il solito, in basso, e mandando solo, forse due o tre volte in settimana, un piccolo ragazzo, a visitarle, o meglio, ad accertarsi che non sono uscite dalle montagne del Comune. Investita adunque dal feroce quadrupede, (altri dicono due madri e figlio), per salvare la pelle, fuggirono spaventate alla rinfusa precipitando le più fortunate da un' altezza di 200 a 300 m. La mandria si componeva di 90 capi circa, e 70 rimasero sul campo di battaglia. Molte furono stritolate in maniera, da non potersi più riconoscere, ed altre furono ritrovate fra le balze della rupe, formanti un ammasso informe di carne, già in istato di quasi putrefazione che in gran parte non si poté utilizzare.
Pare impossibile, che dalla domenica al lunedì, come si pretende, la decomposizione si avanzasse a tal segno: Il danno ascende a f. 500, ed è pur qualche cosa per questa povera gente grandinata due volte. Sarebbe però tempo di smettere quell'antiquato uso patriarcale, di lasciare le pecore sole senza custodia, tranne qualche visita rara e così alla sfuggita, del piccolo mozzo della mandria.
Il Comune aveva disposto, avanti qualche anno, che le pecore fossero custodite da appositi guardiani, e così il pericolo da prossimo faceva si almeno remoto; ma allora le pecore invece di soldi 40, per tutta la stagione, costavano soldi 70 per la custodia; per cui si fece un po' di chiasso, e si ritornò tosto all'antico sistema adamitico, con quanto vantaggio, l'esperienza di tutti gli anni, e di quest'anno specialmente, lo insegni.
Se forestieri vengono tutti gli anni con mandrie di pecore a dare la scalata alle nostre alpi, e con gran dispendio, eppure vi trovano il lor tornaconto, possibile, che non lo trovi chi è in circostanze più favorevoli?
Sarebbe tempo che si ascoltasse la voce della sana ragione e nella muta confidenza si ricercasse il vero progresso in un cespite d'entrata, che dovrebbe formare la vera ricchezza del paese!
Solitario